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I videogiochi? Non è (ancora) un mondo per donne

Se sei una donna, non hai diritto di parlare di videogiochi. Dicono.

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Il giornalismo videoludico? Non è un settore destinato alle donne. Non ancora, a quanto pare. Nelle scorse ore, si è consumato l'ennesimo doloroso episodio che ha vista coinvolta una delle firme più illustri e competenti della stampa specializzata dedicata ai videogiochi, la giornalista e capo-redattrice della testata online Spaziogames Stefania Sperandio. Stefania è una collega, una professionista che ammiro e seguo con grande interesse perché è in grado di trasmettere con un'energia potente la sua passione per il medium videoludico. Che si tratti di una semplice news quotidiana o di un approfondimento più corposo, leggere le parole di Stefania è piacere puro. Per il semplice fatto che ama davvero ciò che fa, e basta imbattersi in uno qualsiasi dei suoi articoli per comprenderlo. Da qualche tempo, soprattutto da quando Stefania ha preso le redini di Spaziogames e ha iniziato ad essere «più in vista» sui diversi canali social e streaming della testata, è stata avviata una vera e propria campagna di denigrazione nei suoi confronti. Personaggi con identità nascoste, poveri codardi dalle vite vuote, hanno iniziato semplicemente ad insultarla. Perché è donna e perché si occupa di videogiochi. Pensate, c'è persino chi, come racconta Stefania nel suo post su Facebook, si è preso la briga di cercare tutti i suoi account social per copia-incollarle in modo compulsivo il seguente messaggio: «Cesso, fai schifo, chi cazzo ti ci ha messa su SpazioGames?». Parole vuote, offensive, che risultano l'ennesimo colpo al cuore di una giornalista che dedica tante ore al giorno per offrire sempre un servizio impeccabile ai suoi lettori.

Già, perché c'è ancora una fetta abbondante di videogiocatori che ritiene che le donne non abbiano alcun diritto di parlare di videogiochi. Non hanno alcuna competenza tale da poter sviluppare un pensiero critico e analitico su un medium che, a quanto dicono, è di loro esclusiva proprietà. E non parliamo solo dell'utente medio videoludico contemporaneo: fino a qualche anno fa, sfortunatamente, questi stessi individui marciavano in quelle stesse fila del giornalismo videoludico. Il passato è d'obbligo perché, da quando ho iniziato questo lavoro (nel lontano 2007), molte cose sono cambiate, si sono evolute e l'aria è diventata, in generale, più respirabile. Permangono alcuni strascichi, talvolta impercettibili, ma è evidente che qualcosa è stato scosso dall'interno e ha portato ad un cambiamento importante e necessario.

I videogiochi? Non è (ancora) un mondo per donne

Esattamente come Stefania, mi sono trovata spesso anche io ad inghiottire rospi e a dover giustificare il mio ruolo di capo-redattrice di GameReactor Italia perché da altri non ritenuta degna di quel titolo. E non certo per le mie competenze; molto spesso veniva messo in discussione il mio lavoro semplicemente perché donna. E agli inizi è stato molto pesante, non lo nego. Per alcuni anni ho vissuto con angoscia la pubblicazione di qualsiasi articolo/video/post per la paura di un attacco frontale dettato esclusivamente dal mio essere donna in un ambiente ad alta percentuale maschile, e non per via di critiche costruttive ad un mio pezzo. Ho fatto un grande lavoro su me stessa affinché quei giudizi - dettati solo dal fastidio che una ragazza scrivesse di videogiochi, non per reali ed effettive mancanze da parte mia - non mi toccassero più. E non toccassero più altre colleghe che, oramai da qualche anno, hanno iniziato ad alzare la testa e a farsi strada in questo settore. Che è, probabilmente, la notizia più incoraggiante.

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Perché, che ne dicano i detrattori, le videogiocatrici ci sono sempre state e rappresentano una parte importante di questo settore. Anzi: la ricerca annuale condotta da IIDEA lo scorso anno sull'annata 2019, rivela che in Italia il 47% dei giocatori italiani è donna, confermando una crescita esponenziale del pubblico femminile interessata ai videogiochi (o che, semplicemente, oggi non ha più timore nell'ammettere che videogioca per paura di quegli attacchi di cui sopra?). Alla luce di questo, appare legittimo che le giocatrici vivano la loro passione senza che un povero idiota di turno venga ad importunarle con insulti sessisti o insensati. E non mi limito solo al settore giornalistico: parlo anche di tutte quelle figure professionali o meno che ruotano oggi attorno al mondo del gaming. Che si tratti di Youtuber o di influencer, o di semplici appassionate, tutte hanno il diritto di videogiocare in santa pace, di esprimere liberamente la propria opinione - anche se contraria - senza il rischio di essere giudicate per il proprio genere sessuale.

Ed è qui che parte il mio invito, una richiesta personale, soprattutto per quei giocatori uomini che sono altrettanto stufi e stanchi di queste pratiche vessatorie contro le loro controparti femminili: alzate la voce anche voi, non derubricate qualsiasi azione di questo tipo a «goliardata» o «ragazzata». Perché no, non lo sono. È un trend in costante crescita che, alla lunga, potrebbe disincentivare altre giocatrici o colleghe a condividere pubblicamente la propria passione per questo medium o ad intraprendere questa professione. Siate tra i primi a prendere l'iniziativa e a ostracizzare questi individui tossici del nostro mondo, teneteli lontani, anche a costo di perdere amici o follower. Contribuite anche voi a rendere sempre più inclusivo il mondo dei videogiochi, facciamo fronte comune. In fin dei conti, i videogiochi sono nati per intrattenere tutti, indistintamente, e da sempre. Ed è giusto che, finalmente, ci si muova in modo compatto tutti insieme, uomini o donne che siano, contro questi attacchi personali ingiustificati. Ciò su cui diventa fondamentale lavorare è la forma mentis di questi individui, far comprendere loro che non è in atto alcun atto di appropriazione indebita. Ne godremmo di più tutti, davvero.

I videogiochi? Non è (ancora) un mondo per donne
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