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La pellicola di Muschietti abbandona le atmosfere horror kitsch della mini-serie anni Novanta, e ci ricorda quali sono state le nostre vere paure quando eravamo bambini.

Stanno stretti sotto i letti, sette spettri a denti stretti.
Stanno stretti sotto i letti, sette spettri a denti stretti.
Stanno stretti sotto i letti, sette spettri a denti stretti.

Gli autori dei romanzi di fantascienza avevano immaginato per noi, uomini e donne del Ventunesimo secolo, un mondo completamente differente. Auto volanti, imponenti città su nuovi pianeti, robot che ci avrebbero fatto compagnia: uno scenario dichiaratamente sovradimensionato, ma che nasconde una viva spinta verso un futuro ignoto e in cui l'umanità tutta ha compiuto notevoli passi in avanti. È divertente scoprire - e forse anche con un po' di sorpresa per quegli stessi visionari che avevano immaginato per noi un avvenire diametralmente opposto - che la tendenza attuale, che si consuma oramai da qualche anno, sia in realtà un costante ritorno al passato, dettato da un malinconico e destabilizzante sentimento di nostalgia.

Questo stato d'animo oramai investe qualsiasi cosa: dalla letteratura alla televisione, dai videogiochi al cinema, tutto sembra permeato da questo costante desiderio di rivivere i "bei tempi di una volta", un ricordo, un'immagine, ciò che ci aveva reso felici davvero, soprattutto se quanto appena detto è legato al periodo più bello della nostra vita: l'infanzia e la pre-adolescenza. Opere come Stranger Things, ad esempio, devono buona parte del loro successo a questo meccanismo, a questo reiterare in noi, generazione degli anni Ottanta e Novanta, una serie di reminiscenze e situazioni che ci riportano indietro ai nostri anni più magici, quando bastava una partita a D&D, una biciclettata di fine estate o il semplice inventarci storie straordinarie di cui eravamo protagonisti insieme ad un gruppo di amici per trovare il senso della felicità.

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IT - la nuova pellicola di Andy Muschietti, tratta dall'omonimo romanzo best-seller di Stephen King - compie, e non senza grande sorpresa per chi si approccia al film ricordando solo la mini-serie anni Novanta con Tim Curry, un percorso esattamente analogo. Nonostante sia pienamente fedele allo spirito e alle atmosfere presenti nel libro del 1986, Muschietti compie la scelta di trasporre il materiale originale relativo al Club dei Perdenti da bambini dalla fine degli anni Cinquanta alla fine degli anni Ottanta, parlando così in modo più diretto alla nostra generazione e strizzando l'occhio ad alcuni grandi classici per ragazzi (in primis, I Goonies, ma qui in salsa decisamente più terrificante). Tuttavia la pellicola di Muschietti non si limita semplicemente ad un'operazione nostalgia, ma compie un ulteriore passo in avanti: mette completamente da parte ciò che aveva tramutato l'opera di King in un banalissimo prodotto TV horror di serie B, restituendogli finalmente la dignità che merita.

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Perché chi ha letto il romanzo originale sa bene che, nonostante le sue inquietanti venature horror, l'IT letterario è prettamente un romanzo di formazione, un racconto lungo oltre 1500 pagine che si concentra sulle gioie e dolori di un gruppo di 7 ragazzini ai margini (poi divenuti, nel tempo, quarantenni insoddisfatti, vuoti e infelici) che, nel corso di un'estate, un'estate angosciante e indimenticabile, si preparano a lasciare per sempre la spensieratezza regalata dall'infanzia, per far spazio alla più triste e spaventosa realtà della vita adulta. Ma con una grande certezza nel cuore: che ciascun membro del Club dei Perdenti ci sarà sempre, l'uno per l'altro.

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Accanto a questo, la pellicola di Muschietti ha saputo tradurre alla perfezione l'inquietudine che si dipana nelle innumerevoli pagine del libro di King, un'inquietudine in cui Pennywise Il Clown ballerino - il Babau muta-forme che prende le sembianze delle paure più profonde dei bambini - diventa il sottile filo rosso che muove gli eventi, alimentandosi con voracità dell'orrore delle sue vittime. Il clown orripilante - qui portato egregiamente sullo schermo da Bill Skarsgård che ci regala un'interpretazione fatta di terrificanti boccacce e movimenti molleggiati - è uno spirito silente, che striscia e si muove nei meandri delle nostre paure più recondite, che appare esattamente quando stiamo cedendo alla nostra solitudine e al panico di restare ed essere soli, in un mondo che continua a dimenticarsi di noi. In questo, il regista argentino ha saputo reinterpretare nel modo giusto il messaggio sotteso all'opera originale, tramutando ciò che poteva essere un horror "facilone", come tanti che arrivano costantemente nelle nostre sale, in un prodotto che ha un'anima forte e ben definita, dove è quasi impossibile non innamorarsi di ciascuno (o quanto meno, della maggior parte!) dei membri del Club dei Perdenti.

Un altro grande punto di forza di IT, anche qui pienamente coerente con il materiale d'origine, è la sua capacità di alternare registri molto diversi fra loro. Le intenzioni di Muschietti sono chiare: l'autore non è in alcun modo interessato ad offrire una replica della mini-serie TV, con effetti speciali posticci e un po' kitsch, preferendo di gran lunga giocare con il comico, il grottesco, il drammatico, e recuperando in modo fedele i diversi stati d'animo che caratterizzavano il romanzo di King, tra l'altro in modo egregio. Certo, non mancano alcune libertà artistiche che il regista argentino ha deciso di prendersi per rendere il film più omogeneo, e che forse lasceranno un paio di delusioni nel cuore dei lettori amanti del libro.

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Nonostante personaggi come Bill ( Jaeden Lieberher), Beverly (la deliziosa Sophia Illis) e Ben (Jeremy Ray) siano stati ricalcati in modo molto fedele rispetto al romanzo, il Richie-Boccaccia portato sul grande schermo da Finn Wolfhard, ad esempio, nonostante la sua estenuante logorrea, perde parte del suo fascino venendo a mancare tutta la dinamica delle voci che il personaggio continua costantemente a proporre ai suoi compagni, e che, per chi ha letto il romanzo, era qualcosa di deliziosamente fastidioso, ma che lo caratterizzava alla perfezione. Lo stesso, sfortunatamente, vale anche per Mike (che probabilmente avrà maggiormente spazio nel secondo capitolo) o anche i meno interessanti Eddie e Stan, ma anche per un paio di cambiamenti apportati in termini narrativi che potrebbero lasciare un po' delusi i fan più appassionati del libro.

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Visivamente, il film di Muschietti sembra ispirarsi maggiormente ad un altro film - tratto da un'altra grande opera di King, la novella Il Corpo contenuto nel romanzo Stagioni Diverse - divenuto un importante film simbolo della nostra infanzia, Stand by Me: Il ricordo di un'estate di Rob Reiner. Le pedalate in bicicletta, con in background alcuni treni-merci che raggiungono e lasciano Derry, così come gli stessi Barren - un luogo centrale nel romanzo di King - hanno più le sembianze dei luoghi che abbiamo visitato nella pellicola di Reiner nel 1986 rispetto alla più lugubre e oscura cittadina fittizia del Maine, raccontata nell'opera originale. Il tutto viene, inoltre, condito alla perfezione da una colonna sonora che alterna musica pop e le composizioni originali di Benjamin Wallfisch, che non tende mai a sovrastare l'immagine, quanto piuttosto si rende ottimo e interessante tappeto sonoro, cadenzando molto bene le atmosfere della pellicola.

A distanza di 27 anni, Andy Muschietti riesce a compiere un'impresa che sembrava quasi impossibile: restituire all'opera di Stephen King la rispettabilità perduta, per colpa di un filmaccio TV andato in onda in quei lontani anni Novanta, che aveva quasi completamente stravolto il significato sotteso all'opera. Strizzando l'occhio all'effetto nostalgia, che rappresenta uno degli ingredienti basilari di questa intrigante e (nella maggior parte dei casi) fedele reinterpretazione dell'amato romanzo di metà anni Ottanta, il regista di La Madre, qui alla sua opera seconda, offre una pellicola che non ambisce a velleità horror senza spessore, ma che mira ad inquietare e a scuoterci da dentro, portandoci a riflettere su ciò che, in realtà, ci terrorizzava più di qualsiasi altra cosa quando eravamo bambini: restare da soli e diventare adulti. Confezionando una pellicola che non vuole allinearsi al cinema di genere, quanto piuttosto preferisce amalgamare tra loro i diversi registri che hanno reso potente il romanzo di Stephen King all'epoca, riuscendoci alla perfezione, IT è un film a suo modo coraggioso, che non potete in alcun modo lasciarvi scappare al cinema.

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08 Gamereactor Italia
8 / 10
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